Sceneggiature e collaborazioni


Regie

Le trame dei film sono tratte da Giuseppe De Santis di Stefano Masi (vedi bibliografia), al quale va un sentito ringraziamento.


1942 LA GATTA

operatore: Alberto Bessone; interpreti: Vittorio Duse, Gioconda Staris. Saggio di diploma al Centro Sperimentale di Cinematografia, realizzato con due allievi del corso di recitazione.

1945 GIORNI DI GLORIA

(Dai titoli di testa) Edito dal Ministero dell'Italia occupata, questo film è stato realizzato con la cortese collaborazione del P.W.B. Film Division, della Cinéac S.A. di Losanna ed in particolare del Comando della Divisioni Garibaldine Zone Valsesia a cura del Partigiano Manlio. Hanno partecipato alle riprese fotografiche gli operatori Della Valle, De West, Di Venanzo, Jannarelli, Lastricati, Novarro, Pucci, Reed, Terzano, Ventimiglia, Werdier, Vittoriano, Manlio, Caloz e i tecnici del CLN di Milano. Coordinazione tecnica di Mario Serandrei e Giuseppe De Sanctis [sic!]. Commento di Umberto Calosso e Umberto Barbaro. Le riprese del processo Caruso sono state dirette da Luchino Visconti e quelle delle Fosse Ardeatine da Marcello Pagliero. Commento musicale a cura di Costantino Ferri. Montaggio di M. Serandrei e C.A. Chiesa. Tecnici del suono: Bruno Brunacci, Giovanni Paris, Vittorio Trentino. Produzione Fulvio Ricci. [dur. 1h 7']

1947 CACCIA TRAGICA

film Regia: Giuseppe De Santis; soggetto: Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Lamberto Rem-Picci; sceneggiatura: Michelangelo Antonioni, Umberto Barbaro, Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Cesare Zavattini; fotografia: Otello Martelli (operatori: Carlo Carlini, Gianni Di Venanzo); scenografia: Carlo Egidi; costumi: Anna Gobbi; montaggio: Mario Serandrei, Giuseppe Rosati; collaboratori alla regia: Sergio Grieco, Carlo Lizzani; interpreti: Vivi Gioi (Daniela, detta Lili Marlene), Andrea Checchi (Alberto), Carla Del Poggio (Giovanna), Massimo Girotti (Michele), Vittorio Duse (Giuseppe), Checco Rissone (Mimì), Umberto Sacripante (lo zoppo), Alfredo Salvadori e Folco Lulli (i due fattori), Michele Riccardini (maresciallo), Eugenia Grandi (Sultana), Piero Lulli (autista), Guido della Valle (il tedesco), Ermanno Randi (Andrea), Massimo Rossini (il camoscio), Enrico Tacchetti (il ragioniere), Carlo Lizzani (reduce che tiene un comizio); produzione: G. Giorgio Agliani per la ANPI Film; durata: 1h 25' 20". Giovanna e Michele che lavorano da braccianti nella cooperativa " Nullo Bandini " si sono appena sposati. Il camion a bordo del quale tornano alla cascina porta anche molti soldi: sono i tanto attesi sussidi governativi, coi quali la cooperativa potrà pagare ai padroni l’affitto delle terre, del bestiame e delle attrezzature. Questo è dunque un giorno di doppia festa. Ma alla cascina, dove i contadini aspettano con ansia l’arrivo del camion, il denaro non arriva: c’è stata una rapina. Un gruppo di banditi armati ha bloccato la strada con una falsa ambulanza: hanno sparato, uccidendo due uomini e si sono fatti consegnare la borsa col denaro. I banditi hanno preso in ostaggio la sposina per costringere al silenzio Michele, il quale ha riconosciuto il loro capo, Alberto, che era stato suo compagno di prigionia in un lager. Alla cascina c’è una grande agitazione. I padroni non vogliono sentir ragioni e sequestrano subito tutto ciò che possono portar via. Bisogna catturare i banditi e recuperare al più presto il denaro dei sussidi: i contadini si impegnano, al fianco della polizia, nella ricerca dei malviventi. Michele potrebbe fare il nome di Alberto e mettere sulla pista buona i suoi compagni ma esita, temendo per la sorte di Giovanna. Intanto i banditi si aggirano per la campagna devastata a bordo dell’ambulanza. Alberto, il capobanda, è un reduce di guerra - come pure Michele - e si è fatto bandito per disperazione, non riuscendo a trovar lavoro. Il resto del piccolo gruppo è composto da un soldato nazista sadico, dalla ragazza di Alberto, la quale si fa chiamare Lilì Marlene, e da un altro reduce, che guida l’ambulanza. Lilì Marlene porta una vistosa parrucca bionda: i partigiani l’hanno riconosciuta colpevole di collaborazionismo e le hanno rovinato i capelli. Quando l’ambulanza si imbatte in un gruppetto di contadini che insistono per caricare un compagno ferito dall’esplosione di una mina, i banditi devono fare buon viso a cattivo gioco. Il ferito è grave e nel delirio scambia Lilì Marlene per la sua donna: cerca di abbracciarla ed inavvertitamente le strappa la parrucca. Inferocita la ragazzo lo scaraventa giù dall’ambulanza in piena corsa. Dopo aver vagato ancora a lungo, i banditi raggiungono uno chalet nel quale troviamo i due fattori che sono andati a sequestrare il bestiame e i macchinari della cooperativa " Nullo Bandini ": giocano a biliardo e ringraziano Lilì Marlene. Si scopre così che la rapina è stata "commissionata" per stroncare il movimento cooperativistico. Ma lo chalet è circondato. I banditi escono facendosi scudo del corpo di Giovanna e riescono a fuggire. Si dividono e si mescolano ai reduci di guerra che percorrono la campagna a bordo di un treno: Lilì Marlene conduce la povera sposina in un comando tedesco, dove s’è data appuntamento con Alberto. Ma questi viene raggiunto da Michele, che lo costringe a portarlo da Giovanna. L’ex comando tedesco è circondato da una serie di mine, collegate con un sistema elettrico il cui terminale è all’interno della casa. Quando si accorge che i contadini stanno per accerchiare anche il nuovo rifugio, Lilì Marlene pensa di far esplodere le mine; ma Alberto, che è ormai nauseato da tanti crimini, vuole impedirle di commettere questa strage. Per fermarla è costretto a spararle. A sera nella cascina della cooperativa, che ormai è salva essendo stato recuperato il denaro dei sussidi, si celebra il processo popolare contro Alberto. Al termine della discussione, i contadini convengono che i veri colpevoli non sono quelli come lui, che per disperazione si sono fatti banditi, ma coloro i quali si tengono al riparo e, all’ombra, muovono le trame dei propri loschi interessi. Alberto non è altro che un poveraccio, un reduce senza lavoro come tanti altri, uno sfruttato: decidono dunque di lasciarlo andare. Gli indicano pure dove potrà trovare lavoro . E, mentre quello si allontana per i campi, gli tirano dietro una zolla di terra, in segno di augurio.

1949 RISO AMARO

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto: Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Gianni Puccini; sceneggiatura: Corrado Alvaro, Giuseppe De Santis, Carlo Lizzani, Carlo Musso, Ivo Perilli, Gianni Puccini; fotografia: Otello Martelli; costumi: Anna Gobbi; montaggio: Gabriele Varriale; collaboratori alla regia: Basilio Franchina, Gianni Puccini; ass. alla regia: Piero Nelli; musica: Goffredo Petrassi; interpreti: Vittorio Gassman (Walter Granata), Doris Dowling (Francesca), Silvana Mangano (Silvana Melega), Raf Vallone (Marco Galli), Checco Rissone (Aristide), Nico Pepe (Beppe), Adriana Sivieri (Celeste), Lia Corelli (Amelia), Maria Grazia Francia (Gabriella), Dedi Ristori (Anna), Anna Maestri (Irene), Mariemma Bardi (Gianna), Maria Capuzzo (Argentina), Isabella Zennaro (Giuliana), Carlo Mazzarella (Mascheroni), Ermanno Randi (Paolo), Antonio Nediani (Nanni), Mariano Englen (capomonda); produzione: Lux Film; durata: 1h 43' 30". I treni che portano le mondine stanno per partire alla volta della pianura del riso: una grande agitazione regna nella stazione. Confusi tra la folla delle donne, alcuni agenti in borghese sono sulle tracce di un delinquente che ha rubato una collana del valore di cinque milioni e adesso cerca si svignarsela. Walter Granata, il ladro, ha dato appuntamento alla sua donna alla stazione, dovrebbero partire insieme. Ma la polizia sorveglia ogni treno in partenza. Walter affida il malloppo a Francesca, raccomandandole di nascondersi tra le mondine e di custodire gelosamente il prezioso gioiello: lui la raggiungerà appena possibile. Silvana, una ragazza che sta per partire per la monda è l’unica ad essersi accorta delle loro manovre: ha messo gli occhi su Walter, che è un bel tipo di uomo tenebroso ed affascinante. Sul terno si fa amica Francesca, cerca di accattivarsi la sua fiducia e, per riuscirci, la aiuta a trovar lavoro in risaia presentandola come " clandestina ad un " caporale". Le clandestine sono ragazze che vengono a lavorare alla monda senza contratto di ingaggio. Per Silvana, che ha un regolare contratto della camera di lavoro, non ci sono problemi di sorta. Le mondine si stabiliscono in una caserma momentaneamente deserta: è qui che Silvana, di nascosto, sottrae a Francesca il suo tesoro. La poveretta è disperata. Del resto pare che quest’anno le clandestine non potranno lavorare. Dopo un simbolico scontro che ha per teatro la risaia, le lavoratrici regolari si schierano al fianco delle clandestine per imporre al padrone di dar lavoro a tutte quante. Silvana che aveva aizzato le sue compagne contro Francesca, additandola come crumira, le restituisce il gioiello, sotto gli occhi di Marco, un giovane militare in servizio nella zona. Dopo la riappacificazione, Francesca narra a Silvana la storia della sua vita. La ragazza la ascolta bocca aperta, affascinata soprattutto dal racconto delle ribalderie di Walter. Quando questi poco tempo dopo giunge alla caserma delle mondine si scazzotta subito con Marco per via di Silvana; poi rivela a Francesca che la collana è falsa. Essendo tuttora ricercato dalla polizia e avendo compreso che il posto è abbastanza sicuro, il malvivente vi si stabilisce: dorme nel grande magazzino del riso, dove Francesca ogni giorno si reca per rifornirlo di cibo. Egli, intanto, si mette in combutta con alcuni caporali e organizza un piano per impadronirsi delle tonnellate di riso che giacciono rinchiuse nel magazzino. Il sergente Marco corteggia senza alcun risultato la bella Silvana, la quale a sua volta s’è invaghita di Walter e riesce facilmente a scalzare Francesca dal cuore del bel tenebroso, che fa di lei la sua mante e la sua complice. Il colpo è progettato per l’ultimo giorno di lavoro. E’ sera: le mondine hanno organizzato una festa d’addio. Walter conta sulla confusione per potersi allontanare indisturbato con i camion carichi di riso. E per accrescere il bailamme, organizza l’allagamento della piantagione. Silvana viene eletta reginetta della serata e proclamata " Miss Mondina 1948 "; ma, all’arrivo della notizia dell’allagamento, tutti - mondine, sorveglianti e caporali - si riversano nella piantagione per salvare il riso. Il piano di Walter sembra funzionare alla perfezione. Ma per sua sfortuna interviene Marco e impegna il bandito in un duello all’ultimo sangue, che vede impegnate pure Francesca, a fianco del militare, e Silvana, a fianco del bandito. Quest’ultimo è ucciso proprio dalla sua amante, disperata e delusa dal vile comportamento dell’uomo che ella aveva ammirato e amato come un eroe. Poi Silvana sale su un’alta impalcatura e si precipita nel vuoto.

1950 NON C'E' PACE TRA GLI ULIVI

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto: Giuseppe De Santis, Gianni Puccini; sceneggiatura: Libero de Libero, Carlo Lizzani, Giuseppe De Santis, Gianni Puccini; fotografia (bianco e nero, Ferrania Pancro C7 e Infrarosso): Piero Portalupi (operatore: Marco Scarpelli, ass. oper. Idelmo Simonelli, Pasqualino De Santis); scenografia: Carlo Egidi; costumi: Anna Gobbi; montaggio: Gabriele Varriale; musica: Goffredo Petrassi; interpreti: Raf Vallone (Francesco Dominici), Lucia Bosè (Lucia Silvestri), Folco Lulli (Agostino Bonfiglio), Maria Grazia Francia (Maria Grazia Dominici), Dante Maggio (Salvatore Capuano), Michele Riccardini (maresciallo), Vincenzo Talarico (difensore di Dominici), Piero Tordi (don Gaetano Pettarelli), Attilio Torelli, Giacomo Sticca, Maddalena di Trocchio, Giuseppina Corona, Angelina Chiusano (madre di Bonfiglio), Tommaso di Gregorio, Giovanni Paparella; Vincenzo Jannone, Vincenzo Vaticone e i pastori della contrada "Querce" di Fondi; produzione: Lux; durata 1h 38' 30". Siamo in Ciociaria. Si avvicina la brutta stagione. Francesco Dominici è un pastore di ventotto anni: gli ultimi sei li ha trascorsi tra guerra e prigionia, lontano dal suo paesino. Appena tornato a casa, ha la brutta sorpresa di vedere la sua famiglia ridotta in miseria. Dell’intero gregge gli resta solo un agnellino. Le pecore se le è prese Agostino Bonfiglio, un pastore senza scrupoli che s’è arricchito negli anni della guerra facendo l’usuraio e depredando gli altri pastori. Francesco decide di farsi giustizia da sé e , di notte, insieme ai suoi familiari, va a prendersi le sue pecore. Bonfiglio si accorge quasi subito del fatto e si lancia all’inseguimento dei fuggitivi: non riesce a recuperare tutte le pecore, ma solo una piccola parte che è rimasta indietro e che la sorella di Francesco, Maria Grazia, sta disperatamente cercando di sospingere verso l’ovile dei Dominici. E’ proprio sulla ragazza che l’uomo sfoga la sua ira. Quando torna a casa, la sventurata non ha il coraggio di confessare la violenza subita. Col suo gesto Francesco Dominici s’è messo dalla parte del torto. Bonfiglio lo denuncia come ladro di bestiame e il poveraccio viene arrestato. Invano chiama in sua difesa gli altri pastori, i quali sanno bene che egli non ha fatto altro che riprendersi la roba sua. Ma solo pochi gli danno ragione. Tutti gli altri preferiscono tacere e non immischiarsi nella faccenda. La fidanzata del giovane pastore fu l’unica che, a suo tempo, vide Bonfiglio appropriarsi indebitamente delle pecore dei Dominici. Francesco è sicuro di vincere la causa in tribunale proprio perché confida nella testimonianza della ragazza. Ma i genitori di Lucia hanno contratto diversi debiti con Bonfiglio e, d’accordo con lui, la costringono a testimoniare il falso. Bonfiglio ha comprato molti falsi testimoni, ha minacciato gli altri pastori della contrada. E a quelli che non gli hanno dato retta ha avvelenato le pecore. Così Francesco viene condannato a quattro anni di carcere. Agostino Bonfiglio prosegue la sua scalata. In breve tempo, diviene il padrone incontrastato della contrada. E a quelli che non gli hanno dato retta ha avvelenato le pecore. Così, Francesco viene condannato a quattro anni di carcere. Agostino Bonfiglio prosegue la sua scalata. In breve tempo, diviene il padrone incontrastato della contrada. E’ riuscito a farsi affittare tutte le terre da pascolo circostanti e le affitta a sua volta ai pastori, a prezzi esorbitanti. Egli è tanto potente che i genitori di Lucia non possono rifiutargli la mano della figlia. Il giorno delle nozze, però, la povera Maria Grazia si para dinanzi al corteo nuziale che si dirige verso la chiesa e, pubblicamente, accusa Agostino di aver approfittato di lei. Le nozze non si fanno più. Maria Grazia, presa sotto la protezione della madre di Agostino, andrà a vivere nella casa dei Bonfiglio. Poco prima di Pasqua, Francesco evade dal carcere insieme ad un borsaiolo napoletano, suo compagno di cella, e ritorna sulle montagne della Ciociaria con la precisa intenzione di ammazzare Agostino Bonfiglio. Appena appresa la notizia, Lucia raggiunge il fuggitivo per riappacificarsi con lui. Intanto i carabinieri perlustrano invano la montagna in cerca degli evasi. Ormai Francesco gode dell’aiuto degli altri pastori, i quali hanno compreso che Bonfiglio è erbaccia da estirpare. Il bravo pastore raggiunge la casa del suo nemico, che lo accoglie a raffiche di mitra; ma adesso è Bonfiglio a fuggire. L’inseguimento è una vera caccia tragica. Il gregge gli viene dietro, suo malgrado. Per aiutare Francesco, gli altri pastori fermano le loro greggi, in modo che il polverone sollevato dalle pecore di Bonfiglio in movimento riveli a Francesco gli spostamenti del "cattivo". Bonfiglio, nella sua fuga, si è trascinata pure Maria Grazia e quando la ragazza, terrorizzata, manifesta il proposito di abbandonarlo, egli la strangola. Francesco si fa sempre più vicino e Bonfiglio non ha una buona mira. Così spreca tutte le sue cartucce, fino all’ultima. Poi, si getta da un dirupo e va a sfracellarsi sulle rocce sottostanti. Francesco Dominici si consegna ai Carabinieri, richiamati dagli spari. Certamente ci sarà la revisione del processo. E’ il giorno di Pasqua: le campane suonano a stormo.

1952 ROMA ORE 11

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto e sceneggiatura: Cesare Zavattini, Basilio Franchina, Giuseppe De Santis, Rodolfo Sonego, Gianni Puccini; fotografia: Otello Martelli (operatore: Roberto Gerardi); scenografia: Léon Barsacq; arredamento e costumi: Elio Costanzi; montaggio: Gabriele Varriale; musica: Mario Nascimbene; aiuto regista: Elio Petri; fonico: Giovanni Rossi; interpreti: Lucia Bosè (Simona); Carla del Poggio (Luciana Renzoni), Maria Grazia Francia (Cornelia), Lea Padovani (Caterina), Delia Scala (Angelina); Elena Varzi (Adriana); Raf Vallone (Carlo); Massimo Girotti (Nando); Paolo Stoppa (impiegato); Armando Francioli (Romoletto); Paola Borboni (Matilde); Irene Galter (Clara); Eva Vanicek (Gianna); Checco Durante (padre di Adriana); Alberto Farnese (Augusto); Bianca Beltrami; Cabiria Guadagnino; Teresa Ellati, Maria Pia Trepaoli; Fulvia Trozzi; Donatella Trombadori; Helène Vallier, Nando di Claudio, Fausto Guerzoni, Michele Riccardini, Renato Mordenti, Piero Tordi, Ezio Rossi, Henry Vilbert, Marco Vicario, e con le protagoniste della sciagura Anna Maria Zijno, Maria Ammassari, Renata Ciaffi; produzione: Paul Graetz per la Transcontinental Film e Titanus; durata: 1h 43' E’ mattino a Roma. Davanti al cancello di un palazzetto di quattro pini al Largo Circense, una ragazza dall’aria spaurita tiene tra le mani un quotidiano aperto alla pagina degli annunci economici. Un dettaglio ci fa leggere una delle tante inserzioni nella colonna delle offerte di impiego :"Cercasi dattilografa primo impiego, miti pretese, presentarsi alle ore 11,00, Largo Circense n°37". Davanti al cancello giungono, alla spicciolata, altre ragazze. Sono in molte. Ce n’è di tutti i tipi: la pettegola e la sciagurata, la timida e l’arrogante, la popolana e la piccolo borghese. C’è Caterina, una puttana che sogna di sbarcare il lunario in maniera più rispettabile; c’è Simona, che ha abbandonato la sua facoltosa famiglia per andare a vivere insieme ad un giovane artista squattrinato; c’è Luciana, che ha il marito disoccupato; c’è l’eterea Cornelia, che per far bella figura s’è messa le scarpe col tacco, rubandole alla sorella. C’è Giorgetta, figlia di un generale in pensione. C’è Clara, che sogna di fare la cantante. E ne giungono altre ancora: in breve, dinanzi al cancello le ragazze formano una piccola folla. Finalmente arriva il ragioniere che ha fatto mettere l’annuncio sul giornale :"C’è un solo posto!", le avvisa. Le ragazze lo seguono per le scale. La lunga fila si snoda lungo le rampe. Le candidate entrano nell’ufficio una alla volta. Intanto, le altre aspettano fuori: qualcuna si lamenta, Clara intona una canzone, altre spettegolano. Cornelia, che mentre stava in strada ha accettato la corte di un simpatico marinaio, fa amicizia con Luciana. Persino Angelina, che fa la serva nel palazzo di fronte, si è messa in fila: aspira pure lei a diventare dattilografa. Una grande agitazione comincia a serpeggiare tra le ragazze quando il ragioniere annuncia che, per motivi di tempo, potrà esaminare solo un piccolo gruppo di candidate, le prime trenta o quaranta della fila. Luciana, che è in uno degli ultimi posti, usa uno stratagemma per scavalcare le altre ragazze e ottiene di essere esaminata. Ma, quando esce dall’ufficio, nasce un’alterco che in breve si trasforma in una gran baruffa. La ringhiera scricchiola sotto ilo peso, si distacca e cade. Alcune rampe cedono. C’è un gran polverone. Grida di terrore. Passa qualche istante ed ecco i primi gemiti delle ragazze ferite. Accorrono le ambulanze, i pompieri e la polizia. Luciana, la ragazza che ha provocato la tragica baruffa, esce illesa dal palazzetto e fugge via. All’ospedale le ragazze ferite vengono visitate da genitori, amici e parenti. Solo una versa in gravi condizioni: è Cornelia, che spirerà qualche ora più tardi. Il padre di Adriana, che fa il vetturino, scopre con raccapriccio che sua figlia è incinta. Nella camerata, intanto, si aggira un giornalista della Radio, che raccoglie le testimonianze delle ragazze. A Clara il radiocronista offre la sospirata occasione di cantare davanti ai microfoni della Radio. Sono arrivati pure i genitori di Simona e cercano di convincere la ragazza ad abbandonare il suo squattrinato amante, che non potrà mai offrirle una vita confortevole. Caterina, la puttana, è uscita illesa dal crollo ed è infastidita dalla presenza di un ricco commerciante toscano che insiste per passare qualche ora con lei. Alla fine Caterina accetta e se lo porta a casa sua. Ma "casa sua" è una miserabile baracca e l’uomo, che non se la sente più di darsi ai bagordi, se ne va lasciandole dei soldi. Angelina, la serva, s’è fatta solo qualche graffio. Ma ha preso una decisione importante: non farà più la serva, anche a costo di dover tornare al suo paesino. Una delle ragazze scampate al crollo si propone subito per il posto di serva rimasto vacante. Adriana si riconcilierà col padre. E Simona tornerà dal suo pittore squattrinato. Intanto il maresciallo ha avviato un’ inchiesta per accertare le responsabilità dell’accaduto. Si reca sul luogo del sinistro ad interrogare il proprietario del palazzo, il costruttore, gli inquilini, il ragioniere ed alcune delle ragazze. Anche Luciana, che si sente colpevole della morte di Cornelia, viene convocata: è disperata, tanto che per un attimo pensa al suicidio. Ma l’arrivo del marito scongiura la nuova tragedia. Ormai s’è fatta sera: se ne tornano tutti a casa. Anche il maresciallo. C’è solo una ragazza ferma davanti al cancello. "Quel posto di dattilografa deve essere ancora libero!", confessa timidamente ad un cronista.

1953 UN MARITO PER ANNA ZACCHEO

filmRegia: Giuseppe De Santis; sceneggiatura: Giuseppe De Santis, Alfredo Giannetti, Salvatore Laurani, Elio Petri, Gianni Puccini, Cesare Zavattini; fotografia: Otello Martelli (operatore: Roberto Gerardi); scenografia: Carlo Egidi; costumi: Paolo Ricci; montaggio: Gabriele Varriale; aiuto registi: Elio Petri, Aldo Trionfo; collabor. alla regia: Giulio Petroni; musica: Rino da Positano; fonico: Giovanni Rossi; interpreti: Silvana Pampanini (Anna Zaccheo), Amedeo Nazzari (dott. Illuminato), Massimo Girotti (Andrea), Umberto Spadaro (don Antonio), Monica Clay, Anna Galasso, Dora Scarpetta, Agostino Salvietti, Edoardo Imperatrice, Franco Bologna, Giovanni Berardi, Enrico Glori, Enzo Maggio, Nando di Claudio, Nello Ascoli, Renato Terra, Carletto Sposito; produzione: Domenico Forges Davanzati; durata 1h 41' 20" A Napoli, in un appartamentino angusto e buio di un quartiere popolare, vive Anna Zaccheo, figlia di un povero conduttore della funicolare. Anna è una ragazza bellissima. Ha 23 anni, due fratelli, un’amica del cuore e un grande sogno, comune a tante altre ragazze: vorrebbe sposarsi, incrociare il proprio destino con quello di un bel giovane, magari cortese e innamorato. Effettivamente un corteggiatore ce l’ha. Ma è don Antonio, cafone arricchito, dal volto bitorzoluto, il quale ha una pescheria ben avviata, quattro negozi e le mani in pasta in tanti affari. Un buon partito davvero! I genitori di Anna, che ogni giorno si vedono arrivare a casa i mazzetti di fiori spediti da don Antonio, sarebbero ben felici di imparentarsi con un uomo tanto ricco. Ma Anna insegue il suo piccolo sogno d’amore, che finalmente si materializza in Andrea, un marinaio di Ancona, giovane leale, onesto e di molto serie intenzioni. E’ quasi il classico colpo di fulmine! Nel giro di una giornata si conoscono, vanno a passeggio insieme, a pranzo e al teatro, a vedere la sceneggiata. Infine decidono di sposarsi. Ma all’indomani Andrea deve ripartire con la sua nave. Tornerà tra qualche mese -lo giura- per sposarla. "Promesse da marinaio", insinua la sua amica del cuore, con un pizzico d’invidia. Ma Anna ha fiducia in Andrea. Il problema è un altro. La dote Anna non ce l’ha. Che vergogna! Per farsela decide di cercarsi un lavoro e raggranellare una piccola cifra. Ne prova diversi -commessa, mascherina la cinema, ecc.- prima di impiegarsi come fotomodella nell’agenzia di fotografia pubblicitaria del dottor Illuminato, un vero signore, che la tratta con ogni riguardo e la protegge da qualche prepotente che vuole approfittare di lei. Le vuole davvero bene. Anna, dal canto suo, non è insensibile a tanta cortesia. Così, in un pomeriggio piovoso, i due si amano. Anna non avrebbe voluto. Neanche il dottor Illuminato che, da vero galantuomo, si scusa per non aver saputo resistere alla tentazione. Ma, ormai, che si può fare? La povera ragazza abbandona subito il posto. Ha perso pure l’onore, che era il suo unico tesoro. Che le resta se non il suicidio? Quando riapre gli occhi in ospedale, accanto al suo letto ci sono i genitori. E c’è anche Andrea che, ignaro del fattaccio, è tornato con un regalino per lei. Ma Anna è una ragazza che non sa mentire. Il bel marinaio, adirato, le molla un ceffone e sparisce. Nel quartiere le voci corrono, si sa. Anna non sopporta gli sguardi ammiccanti dei vicini e decide di andar via di casa. Si prende in affitto una stanzetta coi pochi soldi raggranellati, che in breve finiscono. Ha fame e, per disperazione, accetta la corte di don Antonio. Il pescivendolo comincia subito a parlare di nozze, di casa nuova e di bambini. Le mostra i suoi possedimenti, la porta in giro su un’auto enorme, con tanto di choffeur. Anna fa ogni sforzo per sopportare la sua incancellabile volgarità, ma non ci riesce. Preferisce tornare alla misera stanzetta d’affitto piuttosto che maritarsi con don Antonio. Qualche tempo dopo Anna s’imbatte di nuovo in Andrea. Lui dice di volerle ancora bene. Lei pure. Passano insieme una giornata felice, vanno di nuovo al teatro, a vedere la sceneggiata. E, infine, Anna mostra ad Andrea la sua nuova abitazione. Riparlano di matrimonio, fanno progetti, fanno l’amore. Ma, all’indomani, Andrea deve ancora una volta ripartire. Adesso quasi quasi le rinfaccia di esserglisi concessa tanto facilmente. La accusa addirittura di essere una poco di buono. Anna, delusa, se ne va per la sua strada. Se ne torna a casa, dai suoi genitori. Chissà se un giorno riuscirà a trovare il marito che fa per lei.

1954 GIORNI D'AMORE

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto e sceneggiatura: Libero de Libero, Giuseppe De Santis, Elio Petri, Gianni Puccini; fotografia (Ferraniacolor): Otello Martelli (operatore: Arturo Zavattini); collaboratore alla regia: Leopoldo Savona; scenografia, costumi e consulenza artistica per il colore: Domenico Purificato; costruz.: Carlo Egidi; montaggio: Gabriele Varriale; musica: Mario Nascimbene; interpreti: Marcello Mastroianni (Pasquale), Marina Vlady (Angela), Angelina Longobardi (Concetta), Dora Scarpetta (Nunziata), Giulio Calì (nonno Pietro), Fernando Jacovolta (Adolfo), Renato Chiantoni (Francesco), Pina Galliani (nonna Filomena), Angelina Chiusano (Loreta), Lucien Gallas (Oreste), Franco Avallone (Leopoldo), Cosimo Poerio (nonno Onorato), Santina Tucci (Teresa), Gildo Bocci (maresciallo), Piero Tordi (parroco), Gabriele Tinti (Gino), Vittorio Donato (Servotta), Sergio Crosia (Leone), Licia Fratta (Elpidia), Maria Pia Giordani (Pupetta), Saverio Cavaiola (Saverio), Olga de Poliakoff, Pietro Gegnoni (Giovannino), Giovanna Saccarini (Carmelina), Carmelina Misuraca (Carmina), Paolo Russo, Ughetto Bertucci; produzione: Excelsa Film; durata: 1h 38' Angela e Pasquale, due giovani contadini di Fondi, un paesino della Ciociaria, si vogliono bene da quando erano bambini e le rispettive famiglie acconsentono al loro matrimonio, essendo oltretutto legate da antica amicizia. Manca solo il quattrino per la cerimonia. Hanno fatto un po’ di conti, consultando il gioielliere, il sarto, il parroco e tutti gli altri: tra questo e quello occorre quasi mezzo milione, cifra irraggiungibile per le due famiglie. Eppure, che brutta figura sposarsi senza la cerimonia e il banchetto! Ne parlerebbe tutto il paese. Che fare? La soluzione c’è. Se Pasquale rapisse Angela, la ragazza sarebbe compromessa e s’imporrebbe il classico matrimonio riparatore, al quale non si addice alcuna fastosa cerimonia. Sono gli stessi genitori a consigliare ai ragazzi questa soluzione. Dapprincipio lei non è entusiasta, ma poi si convince. A sera, Angela e Pasquale "fuggono" con la benedizione dei loro cari. Si tratterà di star via un giorno o due, affinché si sparga la voce del rapimento. Naturalmente, per rendere credibile la cosa la famiglia di Angela dovrà litigare -e di brutto- con quella di Pasquale. Con un po’ di imbarazzo gli attori di questa messa in scena si accingono a recitare la loro parte. E’ un giorno di festa in paese, le strade si riempiono per il passeggio domenicale, quando, improvvisamente, tra i balconi e le finestre (le due famiglie abitano nella stessa strada, l’una di fronte all’altra) cominciano a volare accuse, improperi e malignità di ogni genere. Intanto, Angela e Pasquale, che si aggirano ancora per i campi, non hanno consumato la loro prima notte di "rapimento". Lei è imbarazzata: non ha mica tanta fiducia nella parola del suo Pasquale. I paesani cercano di placare la finta ira dei contendenti. E si offrono addirittura di andare a ripescare i fuggitivi. Inutilmente, le famiglie di Angela e di Pasquale cercano di opporsi al loro proposito. Così, maresciallo in testa, quasi tutto il paese se ne va per i campi sulle tracce degli innamoratini fuggiti. In breve, la cosa acquista il sapore di una scampagnata domenicale: tutti si divertono, tranne i parenti dei due fuggitivi, i quali a furia di scambiarsi improperi hanno perso la pazienza. Il litigio finto si è trasformato in un litigio vero. Angela fa la ritrosa e respinge gli approcci amorosi del suo Pasquale, che perde la pazienza e la manda la diavolo. Finalmente le amiche le spiegano che quella non è la tattica giusta e la bella Angela si concede. E’ scuro ormai quando i due giovani fanno ritorno al paese. Con loro grande sorpresa, apprendono che le famiglie sono scese davvero sul sentiero di guerra. Con qualche testimone rimediato in fretta e furia, Angela e Pasquale si presentano davanti al parroco, che li unisce "nel bene e nel male". Tutto il paese scende in strada per salutare gli sposini.

1956 UOMINI E LUPI

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto: Giuseppe De Santis, Tonino Guerra, Elio Petri; sceneggiatura: Giuseppe De Santis, Tonino Guerra, Elio Petri, Ugo Pirro, Gianni Puccini, con la collaborazione di Ivo Perilli; fotografia (Eastmancolor-cinemascope): Piero Portalupi (operatore: Idelmo Simonelli); collaborazione alla regia: Leopoldo Savona; scenografia: Ottavio Scotti; costumi: Graziella Ubinati; montaggio: Gabriele Varriale; musica: Mario Nascimbene; fonico: Guido Nardone; interpreti: Silvana Mangano (Teresa), Yves Montand (Ricuccio), Pedro Armendariz (Giovanni), Irene Cefaro (Bianca), Giulio Calì (Nazareno), Euro Teodori (Amerigo), Giovanni Matta (Pasqualino), Guido Celano (don Pietro), produzione: Giovanni Addessi per la Titanus; durata: la lunghezza originale del film è di 3.300 metri, quella definitiva (manipolata dalla produzione) è di 2.800 metri. Sulle pendici dell’Appennino abruzzese l’inverno è molto freddo. La neve ricopre ogni cosa e i lupi s’avventurano fuori dalle loro tane, in branchi. Raggiungono i piccoli paesini disseminati sulle montagne e minacciano gli ovili e le stalle. Sono i lupari a difendere questi sperduti paesini dall’assalto delle belve. Quando riescono a d ammazzarne uno portano in paese la carcassa della bestia e sono ricompensati dai pastori, giacché un lupo ammazzato vuol dire un pericolo in meno per il bestiame. In uno di questi paesini di montagna, a Vischio, si promette un premio di 20.000 lire per ogni lupo ammazzato, somma suscettibile di essere ritoccata se si tratta di una femmina, meglio ancora se in grembo porta un cucciolo. Giovanni è un luparo con molti anni di esperienza sulle spalle ed ha bisogno dei soldi del premio per mantenere la sua famiglia, composta dalla moglie Teresa e dal piccolo Pasqualino. Egli sa che potrebbe anche guadagnare una cifra assai maggiore se riuscisse a catturare una lupa viva e la vendesse ad un giardino zoologico. Intanto a Vischio è arrivato anche Ricuccio, che luparo non è ma dice di esserlo: è solo un vagabondo fanfarone, ha sparato ai lupi senza riuscire ad ammazzarne nessuno, ma ha fatto bene la sua parte e Don Pietro, ricco possidente del luogo, s’è fatta una buona impressione di lui, tanto che lo ha ingaggiato come luparo. Ricuccio è un simpatico ragazzone e don Pietro ha una bellissima figlia: sulle prime la corte che lui le fa non sembra avere successo. Per Giovanni la stagione non è delle migliori: non ha fortuna coi lupi. Anche se li conosce molto bene; tanto da essere capace di smascherare Ricuccio, che avendo ammazzato un cane lupo, cerca di farlo passare per lupo. Don Pietro, che ha già maturato i suoi buoni motivi per dubitare della serietà del giovane, lo licenzia su due piedi A Giovanni invece la fortuna sembra arridere: una lupa è caduta in una delle fosse che egli ha preparato nella foresta. Il luparo si cala nella buca e riesce a catturarla viva. Ma dalla montagna accorre un intero branco, richiamato dagli ululati della belva prigioniera e per Giovanni non c’è scampo. Teresa, che era corsa in paese in cerca di aiuto, lo trova già morto. Ricuccio è profondamente toccato dalla tragedia e quando finalmente riesce ad ammazzare un lupo vero, consegna la carcassa dell’animale alla vedova di Giovanni e si offre di accompagnare lei e Pasqualino in giro per i paesi della zona, dove mostrano ai pastori la bestia uccisa e ricevono qualche regalo. Sulla via del ritorno, durante una sosta il bambino s’imbatte per caso in una coppia di lupacchiotti appena nati e li mostra orgoglioso a Ricuccio, che costruisce per loro una piccola gabbia. La lupa che aveva smarrito i cuccioli segue a distanza il loro carro, finché Teresa non li rimette in libertà. Al ritorno a Vischio, Ricuccio si fa onore come luparo, riuscendo a realizzare quello che era stato il sogno di Giovanni: catturare un lupo vivo. Il suo prestigio adesso è assicurato. Si stabilisce nuovamente in paese e ha successo la corte che lui fa a Bianca, la figlia di Don Pietro. La ragazza già progetta di scappare con il suo bel luparo, quando il padre, scoperta la tresca, s’infuria ed impugna la doppietta con l’intenzione di vendicare l’onore della figlia. Solo a fatica l’omone si lascia convincere da Teresa ad accettare Ricuccio come genero. La storia sembra avviarsi a conclusione, ma ha ancora un guizzo. All’ultimo momento, il giovane luparo cambia idea: non è Bianca la donna che fa per lui, ma Teresa. Così, prende il volo con lei e col bambino.

1958 CESTA DUGA GODINU DANA (LA STRADA LUNGA UN ANNO)

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto: Giuseppe De Santis, Elio Petri, Gianni Puccini; sceneggiatura: Giuseppe De Santis, Maurizio Ferrara, Tonino Guerra, Elio Petri, Gianni Puccini, Mario Socrate; fotografia (Ultrascope): Marco Scarpelli (operatori: Pasqualino de Santis, Branko Blazina); collaborazione alla regia: Leopoldo Savona e Bosko Vucinic; scenografia: Zrilimir Zagota; costumi: Oto Reisinger, Jagoda Buic Bonetti; montaggio: Boris Resija; musica: Vladimir Kraus-Rajteric; fonici: Xalbert Pregernik, Oscar Di Santo, Erich Molnar; interpreti: Silvana Pampanini (Giuseppina Pancrazi), Eleonora Rossi Drago (Susanna), Massimo Girotti (Chiacchiera), Bert Sotlar (Guglielmo Cosma), Milivoje Zivanovic (Davide), Gordana Miletic (Angela), Niksa Stefanini, Hermina Pipinic, Lya Rho-Barbieri, Antun Vrdoliak, Branko Tatic, Rodoiko Jezic, Nada Skrinjar, Rikard Brzeska, Peter Spajic-Suljo, Dragica Mezmaric, Augusto Tilic, Aca Stojkoric, Ljubo Dijan, Milan Lentic, Tihomil Polanec, Zdeavko Smovrev, Milan Ramljak, Ljudovit Galic, Marko Solijacic, Alexandr Andrijic, Zeliko Ringl, Moric Danon, Dragan Knapic, Ivo Pajer; produzione: Ivo Vrhovec per la Jadran Film; durata: 2h 17' 20" Immaginate un paesino di montagna i cui abitanti sono quasi tutti disoccupati... Un bel giorno, gli uomini, riuniti come al solito a far nulla e a ciarlare nella piazza del paese, scorgono un loro compagno che, armato di pala e piccone, comincia i lavori per la costruzione di una nuova strada che dovrà collegare il paesino al mare. Guglielmo -questo è il suo nome- va dicendo in giro di aver ricevuto l’incarico dalle autorità competenti, ma, in realtà, ha intrapreso il lavoro di testa sua, con l’intento di coinvolgervi i tanti disoccupati del paese e scuoterli dallo stato di abbandono nel qual versano, nella convinzione che il governo, il comune o qualcun altro, riconosca prima o poi il buon fine della cosa e ripaghi la loro fatica. L’entusiasmo di Guglielmo si rivela contagioso: molti dei disoccupati chiedono e ottengono di poter partecipare ai lavori. I più sospettosi si rivolgono al sindaco per aver conferma della serietà dell’iniziativa, ma il primo cittadino è in viaggio e, nell’incertezza, essi si aggregano ai compagni. In breve tempo, l’intero paese è all’opera. Per l’occasione, l’emporio ripristina le vendite a credito. Al suo ritorno, il sindaco comprende che si troverà in un bel pasticcio se i lavori andranno avanti: per prima cosa smentisce pubblicamente di aver conferito a chicchessia un simile incarico, poi aizza i contadini contro il progetto della strada e contro i disoccupati: con tutti i metodi cerca di far interrompere i lavori. Ma ormai anche i compaesani di Guglielmo hanno capito qual è la partita che stanno giocando. E non se la prendono col loro amico che, a fin di bene, li ha ingannati. Piuttosto decidono di perseverare in questo "sciopero al rovescio". La strada verso il mare, intanto, si allunga sempre più, soprattutto grazie all’entusiasmo col quale i disoccupati hanno preso a cuore la vicenda. Gli uomini lavorano sotto la direzione del simpatico Chiacchiera, una specie di romantico cantastorie, il quale riuscirà ad amalgamare questo stuolo eterogeneo e variopinto di individui, superando i rancori e le fratture che si verificano all’interno del gruppo. Quando si rendono conto di non poter arrestare quello che è divenuto un vero e proprio moto popolare, le autorità locali sollecitano l’intervento della polizia: i principali responsabili dei lavori per la strada vengono arrestati; ma l’intero paese -le donne in testa- si erge compatto in loro difesa. Gli uomini vengono rilasciati. Il sindaco è dimissionario: lo sostituisce il maestro di scuola che, inopinatamente, si schiera dalla parte dei disoccupati. Egli partecipa perfino ad uno sciopero della fame, organizzato per sollecitare l’arrivo di aiuti economici da parte del governo. Ma la cosa non sortisce alcun effetto. Per reperire i fondi necessari, il nuovo sindaco procederà allora ad una drastica revisione del bilancio comunale. Questa azione dà la spinta decisiva ai lavori: la strada è finalmente portata a termine. Anche grazie all’abilità diplomatica di Chiacchiera, che ha saputo convincere una donna a rinunciare alla propria casa, disgraziatamente posta sul tracciato della strada. Tutto si risolverà per il meglio. I lavori si sono protratti per un intero anno, nel corso del quale alla storia della strada si sono intrecciate le vicende private degli uomini e delle donne che vi hanno lavorato: la storia d’amore di Angela e Pasquale, il dramma della cittadi8na Susanna, adultera pentita, la vicenda di Giuseppina Pancrazi, abbandonata dal marito emigrante e tante altre occasioni narrative. I lavori sono appena terminati e, in paese, già si parla di cominciare la costruzione di un’altra strada.

1960 LA GARÇONNIÈRE

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto e sceneggiatura: Roberto Gerardi, Giuseppe De Santis, Franco Giraldi, Tonino Guerra, Elio Petri; fotografia: Otello Colangeli (operatore: Pasqualino De Santis); scenografia: Ottavio Scotti; musica: Mario Nascimbene; fonici: Giulio Tagliacozzo, Renato Cadueri; interpreti: Raf Vallone (Alberto Fiorini), Eleonora Rossi Drago (Giulia Fiorini), Marisa Merlini (Pupa), Gordana Miletic (Laura), Nino Castelnuovo (Vincenzo), Maria Fiore (Clementina), Clelia Matania (Angelina), Ennio Girolami (Alvaro), Renato Baldini (padre del bambino), Franca Marzi (madre del bambino), Nando di Claudio, Miranda Campa, Franco Balducci, Luigi Borghese, Piero Bugli, Marrico Melchiorre, Mauro del Vecchio, M. Antonietta Leoni, Fabio Altamura, Gabriele Pagani; produzione: Roberto Amoroso; durata 1h 30' Roma. L’apprezzato professionista Alberto Fiorini ha ormai passato i quaranta. Vive in una zona elegante dei quartieri alti insieme alla moglie Giulia e ai due figli. Nonostante l’età, egli non ha rinunciato a fare il dongiovanni e continua a ricevere in una garçonnière le ragazze che corteggia. Laura, una giovane mannequin, è solo l’ultima di una lunga serie. La sua garçonnière Alberto de l’è scelta in un quartiere popolare, in modo da esser certo di non imbattersi in qualche conoscente. La portiera dello stabile gli fa le pulizie e ogni tanto, visto che l’ingegner Fiorini viene assai raramente, dà la chiave dell’appartamento a suo nipote Vincenzo, che è venuto a Roma dalla provincia [da Fondi, città natale del regista, ndc] per studiare medicina. Giulia ha dei seri sospetti riguardo alla fedeltà di Alberto e finalmente, un giorno, si decide a pedinare il marito: la accompagna, in auto, la sua amica Pupa. Le due donne vedono Alberto entrare da solo nella garçonnière e Laura raggiunge poco dopo la casa. Giulia riconosce nella ragazza la mannequin di un atelier presso il quale andava a fare acquisti, insieme ad Alberto, e la affronta prima che questa possa varcare il cancello. Le dice cose molto dure, ma nulla di più. Poi Giulia si mette al volante e torna a casa con l’amica. Quando entra nella garçonnière la ragazza non parla ad Alberto dell’incontro con Giulia. Alberto ha dei problemi con certe cambiali che quel giorno stesso scadono. Il suo amministratore, Todeschini, riesce ad ottenere un rinvio del pagamento. Ma occorre pure la firma di Giulia. Dalla garçonnière Alberto telefona a casa: la moglie, che è appena rientrata, fa finta di niente. Poi, appena abbassato il rivevitore, propone ai bambini di fare una bella "passeggiata" e li porta proprio dinanzi alla garçonnière. Insieme a loro monta nell’auto di Alberto, parcheggiata dinanzi all’edificio, e innesca la potente suoneria del sistema antifurto. La nota monocorde del clacson risuona in tutta la strada. Alberto la riconosce e Laura, che intanto ha visto dalla finestra Giulia coi bambini, gli rivela di che si tratta. Dopo aver rassicurato la sua giovane amante, l’uomo scende in strada. Giulia, intanto, ha abbandonato l’auto per accompagnare i bambini in un cinemino che è proprio nella piazzetta attigua (si proietta La grande guerra di Monicelli, con Gassman e la Mangano, oltre a Sordi). Solo per caso la donna s’imbatte nel marito, proprio mentre viene pestato da alcuni giovinastri che vogliono far sfoggio di violenza. Ma Alberto vuole tornare dalla sua amante e Giulia non può impedirglielo. Nella garçonnière, sul fatale giaciglio, teatro di tanti colloqui amorosi, Alberto finalmente possiede la tanto desiderata Laura. Ma la ragazza gli confessa che quella non è la sua prima volta e il quarantenne alla ricerca di purezze perdute accusa pesantemente il colpo. Dopo aver ritrovato un bimbetto che si era smarrito, Laura -è sera ormai- se ne va, mentre Alberto dorme. All’indomani l’uomo s’accorge con grande stupore che sua moglie ha passato l’intera notte nell’auto parcheggiata dinanzi alla garçonnière. Naturalmente i due si riconciliano, ma senza giuramenti di fedeltà.

1964 ITALIANI BRAVA GENTE

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto: Ennio De Concini, Giuseppe De Santis; sceneggiatura: Serghej Smirnov, Ennio De Concini, Giuseppe De Santis, Augusto Frassinetti, Gian Domenico Giagni; fotografia: Tony Secchi (operatore: Gino Santini); scenografia: Ermanno Manco; costumi: Luciana Marinucci; collaborazione alla regia: Romolo Girolami; montaggio: Mario Serandrei, Claudia Moskvina; musica: Armando Trovajoli; fonici: Fausto Ancillai, Sergio Marcotulli, Nino Renda; interpreti: Arthur Kennedy (Ferro Maria Ferri), Tatiana Samoilova (Sonja), Gianna Prokhorenko (Katja), Raffaele Pisu (Libero Gabrielli), Andrea Checchi (colonnello Sermonti), Riccardo Cucciolla (Giuseppe Sanna), Nino Vingelli (sergente Manfredonia), Lev Prygunov (Loris Bazzocchi), Peter Falk (tenente medico Mario Salvioni), Grigorij Mikhailov (partigiano), Valerij Somov (Giuliani), Gino Pernice (Collodi), Boris Kozhukhov (un maggiore), S. Lukyanov (comandante partigiano), Yu. Kaberdaze (prigioniero russo), I. Paramanov (tedesco nascosto), E. Knausmuller (generale tedesco), Ya. Yanakiev (medico), Vincenzo Polizzi (il siciliano), Franco Morici, Pasqualino Ferri, Mario Annibali, Alvaro Ceccarelli, Livia Contardi; produzione: Lionello Santi per Mosfilm e Galatea; durata: 2h 22'

1941-1943

: sono gli anni della campagna italiana in Russia. Sul treno che trasporta i nostri soldati al fronte regna un moderato ottimismo, suffragato dal tepore della buona stagione. Alcuni sono certi di trovar facile gloria nella terra dei soviet. Ma i più anziani si mostrano scettici al riguardo: è il caso del colonnello Sermonti, leale comandante di un variopinto reggimento del quale fanno parte soldati provenienti da tutte le regioni d’Italia. Il soldato emiliano Loris Bazzocchi non riesce a credere ai suoi occhi quando vede che i contadini sovietici lasciano marcire il grano nei campi: è un contadino egli stesso e, dinanzi alle sconfinate distese di grano pettinate dal vento, dimentica la dura logica della guerra. Bazzocchi finirà ucciso da un aereo che mitraglia i campi di girasole. Il soldato Giuseppe Sanna, di Cerignola, nasconde sotto la coriacea scorza meridionale il suo viscerale antifascismo. Invece, Ferro Maria Ferri, ufficiale milanese, è un fascista fanatico, con tanto di mano di legno (anche se falsa) e voce roboante, il quale finirà per fondare il corpo dei Superarditi. Libero Gabrielli, stagnaro di Roma, è un soldatino che sogna di tornare a casa per sposare "Ginetta sua": di tanto in tanto suona l’armonica e qualche volta si diverte a sfottere i fascisti più seriosi accennando le note dell’Internazionale. Il tenente Mario Salvioni, giovane ufficiale medico, è il tipico gagà napoletano che in guerra si trasforma in uno strano miscuglio di coraggio e di codardia: risponde all’appello dei russi che richiedono l’intervento di un medico per salvare la vita a un compagno ferito e, sulla via del ritorno, viene ucciso dai tedeschi, insieme ai partigiani che lo riportano al campo italiano. I rapporti tra le truppe italiane e l’esercito nazista sono alquanto tesi. Il soldato Sanna assale un nazista che vuole impedirgli di dividere il proprio pane coi prigionieri russi. Qualche tempo dopo è il colonnello Sermonti a ordinare di sparare due o tre raffiche davanti ai baldanzosi motociclisti del Reich, i quali tentavano di passare per primi su un ponte che gli italiani hanno faticosamente strappato ai partigiani sovietici. «Se voi sparare ancora su piedi tedeschi, noi sparare su teste italiane!», protesta stizzito il maresciallo nazista, masticando il suo cattivo italiano. Per i nostri soldati la convivenza quotidiana con gli alleati tedeschi è quasi insostenibile: non ne condividono l’esagerazione fanatica e il sadismo. E si rifiutano di obbedire al maresciallo nazista che ha ordinato di far fucilare una ragazza russa. La tattica dei russi consiste nell’indietreggiare, attirando il nemico verso l’interno del paese, per poi contrattaccare col favore della stagione fredda. Tra gli italiani e i tedeschi già si sente odore di vittoria, quando inizia il contrattacco sovietico. Il reggimento del colonnello Sermonti si trova in una prima linea che manca di collegamenti adeguati con le retrovie. Sotto il violento assalto dei russi, la prima linea cede di schianto. E la ritirata si rivela disastrosa, anche perché i nazisti non forniscono il carburante necessario agli automezzi: le truppe italiane sono, dunque, costrette a lunghe e sfibranti marce in una Russia imbiancata dalle tempeste di neve. E’ l’inverno del 1942: nella fuga gli uomini hanno ormai perso il conto dei giorni e non sanno nemmeno quando "festeggiare" il Natale. I soldati si disperdono in ogni direzione. Libero Gabrielli e Giuseppe Sanna, amici per la pelle, fuggono insieme, anche se non sanno bene dove andare: s’imbattono per caso in un simpatico tedesco che ha scoperto un rifugio sotterraneo pieno di viveri e li invita a dividere con lui tutto quel bendiddio. All’indomani si separeranno: Gabrielli si mette in marcia con l’intenzione di raggiungere le truppe italiane e tedesche in ritirata. Sanna e il tedesco, invece, sono decisi a consegnarsi ai russi, ma vengono colpiti a morte dalle granate che piovono da tutte le parti. Gabrielli, ex campione di marcia, prosegue imperterrito il suo cammino verso sud: incontra Sonja, una ragazza russa che ha collaborato coi nazisti e adesso è costretta anch’ella alla fuga: insieme a lei, passa una notte in un carro armato abbandonato. Per qualche tempo, poi, i due si aggirano insieme nella neve, con la speranza di trovar rifugio in un villaggio che la ragazza dice di conoscere. Ma il villaggio non esiste più e Sonja non è capace di andare avanti: Libero prosegue da solo la sua marcia. Ma la distanza che lo separa dalla salvezza è enorme e il bianco panorama nel quale si agitano bufere e tormente sembra non dover mutare mai: nemmeno lui riuscirà a scampare alla morte.

1972 UN APPREZZATO PROFESSIONISTA DI SICURO AVVENIRE

filmRegia: Giuseppe De Santis; soggetto e sceneggiatura: Giuseppe De Santis e Giorgio Salvioni; fotografia (Eastmancolor): Carlo Carlini (operatore: Sergio Martinelli); scenografia, costumi e arredamento: Giuseppe Selmo e Enrico Checchi; montaggio: Adriano Tagliavia; musica: Maurizio Vandelli; collaborazione alla regia: Ferruccio Castronuovo; fonici: Goffredo Salvatori, Gianni d'Amico; interpreti: Lino Capolicchio (Vincenzo Arduni), Riccardo Cucciolla (Nicola Parrella), Femi Benussi (Lucietta Arduni), Robert Hoffmann (don Marco), Andrea Checchi (padre di Vincenzo), Ivo Garrani (padre di Lucietta), Nino Vingelli (maresciallo), Massimo Serato (monsignore), Luisa De Santis (Maria), Vittorio Duse, Annamaria Dossena, Pietro Zardini, Giulio Massimini, Ugo Carboni, Sergio Serafini, Winni Riva, Bianca Mallerini Zardini, Giovanni Sabbatini, Luigi Antonio Guerra, Lina Alberti, Gabriele Bucci, Rory Criscuola, Bruno Degni, Daniela de Simon, Cesare de Vita, Stefania Fassio, Eugenio Galadini, Claudio Giorgiutti, Letizia Lehir, Enrico Papa, Giancarlo Piacentini, Toni Ventura; produzione: Giuseppe De Santis, Giorgio Salvioni; durata: 2h 13' 30" L’avvocato Vincenzo Arduni è un giovane promettente, quel che si suol dire un apprezzato professionista di sicuro avvenire. Ha rinnegato la fede socialista del padre, capostazione, per diventare assessore nelle file della Democrazia Cristiana; la voglia di arrivare non gli manca, certo. Anche per questo ha sposato Lucia, figlia di un ricco imprenditore edile. Adesso vive in una splendida casa, ha una splendida moglie, viaggia su un’auto di grossa cilindrata. Il suo problema è uno solo: ha scoperto, con sua grande meraviglia, di essere impotente. Ma Lucia non gliene vuole. Anzi, lo circonda di tutte le attenzioni possibili. Il guaio è che Vincenzo vuole avere a tutti i costi un figlio -del resto il suo insopportabile e influentissimo suocero lo tormenta con la richiesta di nipoti- e non ha nessuna voglia di adottare orfanelli, perché pensa che ciò equivarrebbe a confessare pubblicamente la propria incapacità virile. Così, dopo lungo rimuginare, chiede a Lucia di farsi fecondare da un altro uomo. La povera Lucia, che non ne ha nessuna voglia, acconsente -se lo fa è solo per accontentare il suo uomo- a patto però che tutto avvenga mentre ella si trova in stato di completa incoscienza. Vincenzo ha l’uomo che fa al caso suo: è una persona seria, Marco, amico di vecchia data, del quale si fida ciecamente. C’è una sola complicazione: il suo amico Marco veste l’abito talare. Sulle prime il giovane prete, inorridito dalla proposta, si fa il segno della croce. Ma Vincenzo, che gli ha rivelato il suo problema nascondendosi dietro il segreto della confessione, ha sempre esercitato un notevole ascendente sull’amico ed anche questa volta finisce per convincerlo. L’appuntamento è fissato per la notte: Lucia inghiotte una buona dose di sonnifero e, mentre Vincenzo passeggia nervosamente lungo la spiaggia, don Marco viene fuori dall’ombra ad eseguire la sua missione di "stallone". Lucia non conosce -e non vuol conoscere- l’identità dell’uomo che l’ha posseduta. Don Marco, dal canto suo, appare completamente trasformato da quell’esperienza e confida a Vincenzo il proposito di rinunciare all’abito talare. Il giovane avvocato si sente tradito. Sapendo che in questo modo non potrà più far affidamento sul vincolo della confessione, al quale è legato il suo imbarazzante segreto, monta su tutte le furie e uccide l’amico colpendolo con la punta di un candelabro acuminato. Prima di fuggire dalla chiesa nella quale ha compiuto il delitto, forza la cassetta delle elemosine e ruba il denaro, per far credere ad un movente diverso dal suo. L’avvocato ha un protetto, Nicola Parrella, una specie di barbone, un morto di fame con moglie e figli a carico, che vive in una miserabile baracca alla periferia della città. Il poveraccio è disoccupato, ma possiede una fervida immaginazione: affinché Arduni, nella sua qualità di assessore all’edilizia, potesse prendere visione delle sue misere condizioni abitative, aveva dirottato l’autobus sul quale il giovane avvocato era salito, minacciando il conducente con una pistola finta. Qualche tempo dopo, Nicola aveva "occupato" per protesta la chiesa di don Marco. E’ proprio basandosi su quest’ultimo episodio che Vincenzo Arduni cerca di far incolpare il povero Nicola dell’assassinio del prete: gli mette in tasca il denaro delle elemosine e fa sì che la polizia trovi l’arma del delitto nel torrente accanto al quale sta la sua baracca. Ma Nicola è più furbo di quanto sembra. Ha capito che l’avvocato sta cercando di incastrarlo e lo incastra a sua volta: ha in mano una prova decisiva contro di lui e lo costringe ad accettare un accordo. Nicola si accollerà la responsabilità dell’omicidio che non ha commesso e Arduni in cambio s’impegnerà ad ospitare e a mantenere la famiglia Parrella per tutto il periodo che l’innocente trascorrerà in galera.

1995 OGGI E' UN ALTRO GIORNO

Regia: Bruno Bigoni e Giuseppe De Santis; soggetto e sceneggiatura: Bruno Bigoni, Fabio Carlini, Giuseppe De Santis; immagini e montaggio: Renato Minotti; immagini S 8: Roberto Nanni; musiche: Moni Ovadia/Theaterorchestra; interpreti: Salomone Ovadia e gli Studenti dell'ITSOS di Milano; produzione: Provincia di Milano/Assessorato alla cultura, Regione Lombardia/Centro Regionale per i Servizi Didattici Audiovisivi; durata: 38'.

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